Yamaha YZF-R1M, nuovo modello Rossi style o final edition?
Di questi tempi ogni brevetto, anche il più insignificante, porta a fibrillazioni e a ridde di ipotesi – dalle più ragionevoli alle più fantasiose – in merito a novità di mercato. Figuriamoci quando il brevetto è relativo ad una sigla come “YZF-R1”, l’ammiraglia sportiva Yamaha per la quale attendiamo con ansia una profonda revisione: la scadenza dei (primi) due anni di contratto di Valentino Rossi in MotoGP avevano fatto ipotizzare un passaggio in Superbike per sviluppare e far vincere la nuova supersportiva, ricordate?
I tempi sarebbero quelli giusti, non fosse che la sigla YZF-R1M depositata in Europa (negli USA ed Australia la Casa dei tre diapason ha registrato sia questa che “YZF-R1S”) sembra troppo simile e allo stesso tempo troppo diversa da quella del modello attuale. C’è anche la coincidenza temporale fra questo brevetto (depositato a metà gennaio) e la presentazione a Jakarta delle due nuove livree speciali riservate a quei mercati – Yamaha, interpellata a riguardo, aveva parlato di colorazioni che non sarebbero arrivate in Europa “per il momento”; nulla impedisce di pensare ad un’edizione finale per la supersportiva dei tre diapason in attesa del modello nuovo in arrivo…
Un po’ di storia
Proviamo a ripercorrere la storia di quella che molti ritengono la sportiva più carismatica uscita dal Sol Levante nell’era moderna. Era il 1997 quando a Milano Yamaha fece trattenere il fiato a diverse persone svelando la nuova YZF-R1. Erede di supersportive performanti nel motore ma un po’ approssimative nella guida, la prima “ErreUno” ebbe un impatto paragonabile a quello della Honda Fireblade cinque anni prima. E se la rivale si era con il tempo addolcita, la Yamaha si presentò invece orgogliosamente cattivissima, al limite del pericoloso per quanto era affilata nella guida.
Al Salone di Milano, quell’anno, debuttarono la MV F4 e l’Aprilia RSV, ma molti non ebbero occhi se non per lei e per una scheda tecnica ai limiti del pornografico. 179 chili per 150 cavalli ed un interasse di soli 1395 millimetri erano valori da moto da corsa; all’atto pratico i cavalli erano diversi in meno, ma sembravano perfino di più perché quando si spalancava il gas il quadricilindrico a venti valvole Yamaha esprimeva una castagna ai medi e agli alti da fare spavento. E servivano “pelo” ed esperienza per non farsi portare in giro dalla moto, tanto che la Yamaha – complice qualche soluzione estrema per uso agonistico, visto che in diversi campionati nazionali si fecero carte false pur di ammetterla in griglia – si fece in diversi ambienti la fama di moto “sbagliata”.
La realtà era che si trattava di una moto riservata a piloti o poco meno, e che servivano ottime gomme, ottima messa a punto e ottimo grip dell’asfalto per provare a tirarne fuori il meglio. Proprio per questo la versione 2000, pressoché invariata esteticamente (la livrea invertì le colorazioni e cambiò la finitura del terminale) risolse qualche peccatuccio di gioventù ma tagliò anche le unghie al propulsore.
2002: l’arrivo dell’iniezione
Contemporaneamente al debutto della prima M1 in MotoGP, Yamaha presentò la prima vera evoluzione dell’R1. Alleggerita (174 kg a secco) e potenziata (152 cv) era contraddistinta da un’estetica ancora più minimalista dell’originale ma soprattutto da una soluzione tecnica a dire poco curiosa. Yamaha aveva infatti adottato tanto sulla MotoGP che sulla moto stradale una soluzione mista, che accoppiava i tradizionali corpi farfallati delle iniezioni elettroniche alle valvole piatte dei carburatori più sportivi. Il risultato fu una moto dall’equilibrio invidiabile, ma sensibilmente meno estrema della progenitrice.
I fan dell’R1 non la amarono quasi per nulla, e forse proprio per questo motivo dopo sole due stagioni arrivò la versione 2004, immediatamente riconoscibile per una carenatura notevolmente più sviluppata ma soprattutto per i due scarichi accoppiati sotto il codone. Ancora più leggera (172 kg a secco) e resa più potente (172 cavalli) grazie ad un motore ancora più superquadro, la nuova R1 torna ad essere estrema: nervosa nell’erogazione – e un po’ vuota ai bassi, a dirla tutta – è anche più efficace nella guida sportiva nonostante un assetto di serie curiosamente più rilassato delle precedenti versioni.
Nel 2006 arrivano alcune piccole revisioni tecniche che fanno guadagnare ancora qualche altro cavallo all’R1, ma a fare notizia è la versione SP, dotata di sospensioni Ohlins particolarmente raffinate, frizione antisaltellamento, cerchi forgiati Marchesini e una livrea dedicata. In Europa ne arrivarono solo 500, rendendola a tuttora un modello particolarmente ambito per i collezionisti.
2007, addio al venti valvole
Il modello 2007 è stato invece una vera rivoluzione: dopo oltre vent’anni dall’arrivo della prima FZ750, ad Iwata abbandonarono le cinque valvole per cilindro in favore delle quattro, come del resto avevano già fatto sul propulsore della M1 di Rossi. La potenza salì a 180 cv ed arrivò l’acceleratore ride-by-wire YCCT-I unito ai cornetti a lunghezza variabile all’aspirazione. Compare infine per la prima volta sulla moto di serie la frizione antisaltellamento.
Il modello dura soli due anni: la crisi economica è alle porte ma i modelli sviluppati sono ormai pronti per il mercato, e nel 2009 arriva l’attuale modello con albero motore fasato a croce, aggiornato successivamente con il controllo di trazione e qualche modifica alla ciclistica nel modello 2012. I tempi sono maturi per la nuova R1: sarà questa YZF-R1M o dovremo aspettare ancora qualche mese?
@fabiofirestorm
Memoria corta...