Honda Integra 750 DCT
Fino a qualche anno fa, parlare di Honda Integra evocava negli appassionati l’immagine di una berlinetta sportiva a trazione anteriore che per anni ha fatto sudare tantissime camicie ai possessori di auto ben più blasonate. E’ quindi particolarmente significativo che a Tokyo abbiano deciso di recuperare un nome tanto importante per un progetto a due ruote, perché le Case giapponesi non prendono decisioni del genere con leggerezza.
A distanza di ormai cinque anni, possiamo considerare Integra un modello maturo e riuscito – l’anno scorso è entrato nelle case di 2.235 nuovi possessori, e anche in questo 2016 sta confermando il successo, con 372 unità vendute; dalla sua nascita è stato venduto in oltre 18.000 esemplari. Presentato nel 2011 con la cilindrata 700, su una piattaforma in larga parte condivisa con i modelli NC (New Concept, anche qui non a caso) Integra ha rappresentato come pochi altri l’anello di congiunzione fra moto e scooter. Da qui, come potete ben immaginare, il nome.
Dotato – caso piuttosto raro – di ciclistica e motore motociclistici (quest’ultimo protagonista di ben otto brevetti depositati), si è conquistato rapidamente una clientela affezionata ed esigente, e come tutte le punte di diamante è stato costantemente aggiornato.
Passato alla cubatura di 750cc nel 2014, a distanza di soli due anni è stato affinato nei dettagli con alcuni sapienti tocchi che lo rendono più raffinato ed efficace, secondo la solita regola secondo cui il risultato è ben migliore della somma delle singole parti. Siamo volati in Andalusia, a Malaga, per provarlo e raccontarvi come va assieme alla cugina NC750X, di cui vi parleremo fra pochi giorni. Iniziamo vedendolo nel dettaglio.
Base invariata, ma tante novità
Come dicevamo, solo due anni fa Integra è stato rivisto più che con un semplice aumento della cubatura. Oltre ai 4mm di alesaggio in più, il propulsore – che ha naturalmente mantenuto la “gustosissima” fasatura a 270°, per conferire robustezza e personalità all’erogazione – è stato rivisto nell’architettura con l’adozione di un secondo contralbero di bilanciamento per ridurre vibrazioni che sul motore da 670cc affliggevano un po’ gli alti regimi.
Il motore ha toccato la canonica cilindrata 750 (745cc reali) arrivando ad offrire 55 cavalli a 6.250 giri e soprattutto 68Nm di coppia, duemila giri più sotto. Prestazioni aumentate (+3cv e +6% per la coppia) che avevano portato ad una rapportatura finale più distesa, per abbassare i consumi alla velocità di crociera e migliorare le prestazioni in velocità massima.
Con l’evoluzione 2016, il motore diventa naturalmente Euro-4 senza sacrificare nulla in termini di potenza e coppia, con un cambiamento dell’impianto di scarico che diventa più compatto (più corto di 7cm e più leggero di 0,5 kg, favorendo la centralizzazione delle masse) e riceve un timbro di voce più profondo e gustoso. Ma cambia – o meglio, si evolve passando alla terza generazione – anche uno dei pilastri del successo di Integra, ovvero il cambio a doppia frizione DCT, che tanto per sottolineare la vocazione motociclistica del progetto ora dispone di una nuova modalità Sport a tre livelli, proseguendo un’evoluzione già in atto con la principale novità Honda dell’anno, l’Africa Twin.
E tanto per confermare quanto Honda creda in questa sua innovazione, qui a Malaga c’era anche Kosaku Takahashi, il papà del DCT. Da bravo giapponese, Kosaku (il suo nome, a proposito, significa “pensa ed agisci”, non male per un ingegnere…) è di poche parole ma i numeri parlano per lui: il cambio a doppia frizione Honda è ora montato su ben nove modelli, e la slide della presentazione si concludeva con uno stuzzicante “…ed altri in futuro”. Ammettiamo una certa curiosità.
La ciclistica mantiene il telaio in tubi d’acciaio e il forcellone in alluminio, ma qui iniziano le evoluzioni rispetto al modello 2015. Fermi restando i cerchi da 17” (con generosissima gommatura 120/70 ZR17 all’anteriore e 160/60 ZR17 al posteriore) e il monoammortizzatore posteriore (più agevole nella regolazione del precarico molla sulle consuete sette posizioni), cambia invece la forcella che diventa una nuova unità Showa SDBV con inedita idraulica dotata appunto di valvole DBV (Dual Bending Valves) che ne modificano la risposta rendendola più lineare. L’escursione, sia davanti che dietro, è di 120mm.
Le sovrastrutture cambiano grazie a gruppi ottici Full-LED all’anteriore (dove le luci di posizione sono una vera e propria cornice all’unità principale) e al posteriore, e all’arrivo per la strumentazione della colorazione negativa personalizzata nonché della possibilità di programmare l’uso di un codice di colori per identificare, a scelta, la modalità d’uso del DCT, il rapporto inserito o la progressione del regime dei giri.
L’impianto frenante mantiene un solo disco anteriore da 320 mm e uno posteriore da 240, entrambi a margherita con ABS a due canali di serie – il sistema frenante C-ABS è sparito con la versione 2014. Nuova è invece la pinza anteriore, più “adulta”, massiccia e potente.
Rimane l’impostazione globale del restyling precedente, con un profilo più leggero, affilato e moderno e con una sella più rastremata ed accessibile per i meno alti nonostante i 79cm di altezza. Allo stesso tempo, lo scudo anteriore (che ospita a sinistra un comodo cassettino portaoggetti e a destra il freno di stazionamento) fornisce ospitalità anche alle gambe dei più alti. Le pedane ora ospitano nuovi inserti in acciaio, le valvole dei cerchi ora hanno sagomatura ad L per facilitare gonfiaggio e controllo pressione, e la chiave è più compatta come sui modelli più recenti.
Il livello di finiture a vista è impeccabile, con verniciature spesse, brillanti e resistenti e una strumentazione LCD completa e leggibile anche in pieno sole. Le informazioni comprendono il tachimetro numerico, un contagiri digitale a barre (che come già detto ora può variare nella colorazione per fornire informazioni aggiuntive), l’orologio, livello carburante, contachilometri con due parziali e indicatore della marcia inserita. Presente anche un utile computer di bordo che presenta, per ciascuno dei parziali, i consumi.
Una classe a sé
Già nel salire in sella si percepisce la differenza fra Integra e gli altri scooter: il solito gesto di passare la gamba fra scudo e sella qui non funziona. La zona centrale è occupata da telaio, motore e trasmissione e quindi, come su una vera moto, è necessario scavalcare la sella. Una volta seduti – comodi e rilassati – si trova una posizione di guida naturale e adatta a tutte le taglie, con comandi piacevoli al tatto e ben posizionati. Si patisce un po’ all’inizio l’affollamento dei blocchetti, ma bastano pochi chilometri per farci l’abitudine. Allo stesso modo, il coperchio frizione a destra sporge e limita un po’ la possibilità di spostare all’indietro il piede nella guida sportiva, ma stiamo veramente parlando di dettagli di poco conto.
Chiave nel quadro, è ora di partire. Si preme il pulsante, si ruota l’acceleratore e… non succede nulla, il motore prende giri ma non c’è traccia di spinta. Già, non è uno scooter come gli altri. Bisogna inserire la marcia con il pulsante sul blocchetto destro: il DCT (a proposito, è più pronto all’azione che in precedenza, rispondendo alle richieste della stampa specializzata) innesta la prima e si posiziona in Drive, la modalità completamente automatica più adatta all’uso in città.
Così impostato, il DCT passa appena possibile al rapporto superiore, privilegiando i consumi. Ma niente paura: una delle migliorie apportate con la terza evoluzione del DCT è la cosiddetta mappa fantasma, ovvero una mappatura che se ne sta tranquilla a dormire dietro le quinte finché la centralina non percepisce una guida più brillante. In quel caso, si sveglia e rende il cambio molto più grintoso: il motore raggiunge regimi più elevati prima di passare al rapporto superiore, e si riesce a sgusciare nel traffico in maniera più efficace e sicura, fermo restando che in qualunque momento potete agire sui due grilletti sul blocchetto sinistro (con l’indice si innesta, con il pollice si scala) per “forzare la mano” al DCT.
Le cambiate del sistema a doppia frizione sono dolcissime e difficilmente percettibili, a meno di non prestarci attenzione; solo a velocità pedonali si sente una lievissima rumorosità meccanica – proveniente sia dal cambio che dalla finale a catena – che peraltro non disturba, anzi, aggiunge qualcosa alla personalità di Integra. Inoltre, altra evoluzione che conferma il costante studio di modellizzazione della guida umana per riprodurne i comportamenti nel DCT, il sistema adattivo introdotto con la terza evoluzione “pela” la frizione (o meglio, le frizioni) alle basse velocità quando il regime è basso per rendere ancora più dolce la progressione del motore. Se rimpiangete una trasmissione automatica… non sapete di cosa state parlando.
Ehi, voglio cambiare io!
Naturalmente il sistema vi permette di passare ad una modalità completamente manuale attraverso il grilletto sul blocchetto destro. Così facendo il sistema lascia completamente al pilota l’onere delle cambiate, attraverso i due già citati grilletti sul blocchetto sinistro; l’intervento del sistema si limita a scalare quando il regime scende sotto il livello di guardia, o quando ci si ferma al semaforo – in questo caso, il DCT si posiziona opportunamente in prima.
Come spesso succede con le auto, però, dopo un primo momento di gioco esplorativo difficilmente chiamerete in causa la modalità manuale se non, per esempio, in situazioni particolari che richiedano un uso specifico del freno motore, perché anche quando volete divertirvi c’è la modalità Sport (anzi, le tre modalità sport) pronte ad assecondarvi.
Premete il pulsante sul blocchetto destro ed attiverete la Sport, modalità in cui il cambio diventa più cattivo sia in innesto che in scalata – entrambe vengono effettuate a regimi più elevati, lasciando briglia più sciolta al motore. Le tre impostazioni della Sport, selezionabili con lo stesso comando ma a gas chiuso e tenendo premuto per un secondo il pulsante, variano il livello di grinta; con la S1 vi avvicinerete alla Drive, mentre con la S3 sfrutterete al massimo il motore.
Opinione personale di chi scrive: data la personalità del bicilindrico parallelo di Integra, che offre il meglio ai medi regimi, la S3 è di utilità relativa. Il motore gira alto ma finisce il fiato, e al netto di un po’ di gusto in più nelle scalate, la S2 si rivela più efficace in quasi tutti i frangenti. Qualunque impostazione preferiate, comunque, il DCT se la ricorderà e ve la proporrà ad ogni passaggio in modalità Sport.
Altra novità interessante sta nel sensore di pendenza. Non si tratta di un vero e proprio sensore come quelli adottati sulle sportive dotate di piattaforma inerziale, ma di una funzione della centralina che riconosce salite e discese interpolando i dati di apertura farfalla, velocità, regime giri e marcia innestata, tenendo più a lungo le marce basse per aumentare la grinta in salita o sfruttare il freno motore in discesa. La sua presenza è sensibile e utile.
Equilibrio ciclistico
Ciclistica da moto, dicevamo in apertura: Integra si dimostra subito più sicuro e stabile della media in città. I cerchi da 17” facilitano la vita alle sospensioni nell’uso urbano, e se impongono qualche compromesso in termini di stabilità allo stesso tempo regalano un feeling decisamente più adulto e sostanzioso nel comportamento dinamico. E, cosa non trascurabile, vi lasciano aperte tantissime scelte in materia di gommatura: potete adottare pneumatici da supersportiva così come macinachilometri da turismo a largo raggio, ma anche – perché no – le gommature invernali che iniziano a vedersi in giro.
Peraltro, basta uscire dalla città per aggredire tangenziali o misto extraurbano per restare piacevolmente stupiti da stabilità e confidenza offerti dalla ciclistica. Si guida allegri con piacere: non vi prenderemo in giro raccontandovi di ritmi da sportiva, ma vi assicuriamo che un test ride su Integra potrebbe farvi rivedere diversi preconcetti. E in mano ad un buon pilota siamo abbastanza sicuri che potrebbe portare qualche possessore di moto “vera” (tanto per continuare a ragionare per preconcetti) a farsi qualche domanda.
Ma torniamo ai criteri di valutazione da scooter: la protettività è buona, con un parabrezza più ampio e ben strutturato. Chi scrive non supera il metro e settantadue e resta esposto solo con le spalle alle andature più elevate – abbiamo visto velocità da ritiro patente in un’estemporanea sparata – ma la media dei colleghi presenti all’evento si è espressa favorevolmente a riguardo. Del tutto assenti le vibrazioni, e promossa con lode la nuova forcella: in città si dimostra scorrevole e morbida, mentre nella guida più veloce sostiene bene in frenata e percorrenza, validando la nuova soluzione SDBV.
Dove forse si vorrebbe qualcosa di più è nella potenza del motore, ma solo perché – lo ripetiamo a costo di sembrare dischi rotti – solidità e stabilità della ciclistica sono tali che farebbero venir voglia di… sprecare qualche litro di benzina in più per un po’ più di grinta in alto. Ma anche in questo caso stiamo uscendo dal seminato; lo stesso fatto che però giudichiamo Integra secondo questi criteri potrebbe spingere a riflettere sulla sostanza del mezzo.
Per chi è Integra?
Per molti più motociclisti e scooteristi di quanto questi ultimi possano immaginare. Il maxiscooter che gioca a fare la moto è in grado di soddisfare qualunque esigenza urbana (certo, a patto di montare sempre il bauletto da 45 litri offerto di serie, perché il vano sottosella è davvero insufficiente – più di un casco jet non riuscirete a stivarci) ma si rivela anche più gustoso della media nell’uso extraurbano, arrivando ad… alleviare il prurito di chi desidera un mezzo divertente sul misto e vuole dedicarsi anche al turismo – o commuting – a medio raggio.
Le finiture sono impeccabili, i consumi quasi incredibili (anche strapazzandolo nella guida sportiva non siamo mai scesi sotto i 4,2 litri/100km indicati dal computer di bordo) e non si ha mai l’impressione di avere a che fare con un mezzo dal livello meno che eccelso. Certo, chi ha gusti più sportivi forse non troverà l’aggressività e la personalità motoristica di qualche concorrente, ma in compenso la ciclistica da moto unita ai cerchi da 17” offrono un appoggio difficilmente raggiungibile dai rivali.
Ancora scettici? Vi capiamo. Ma dateci retta: è difficile trovare un prodotto tanto maturo nel suo segmento, grazie a scelte controcorrente e ad una soluzione esclusiva come il DCT. A proposito, naturalmente la versione a doppia frizione è l’unica in commercio, come si conviene ad uno scooter, ma indice di una direzione decisa da parte di Honda dal momento che la versione naked NC750S, per andare incontro al sempre maggior favore dell’utenza e sottolineare quanto Honda creda in questa soluzione, sarà commercializzata soltanto in versione DCT. Provatelo e capirete cosa intendiamo.
Come posso averlo?
Integra viene leggermente riposizionato come prezzo, partendo da 9.390 euro per la versione base e 9.490 per Integra S, in entrambi i casi con bauletto da 45 litri compreso nel prezzo. La differenza sta nelle verniciature: la S è disponibile nelle due colorazioni Matt Alpha Silver Metallic e Matt Majestic Silver Metallic, con fregio colorato e logo in zona carenatura. La versione standard è invece disponibile in Pearl Glare White, Matt Bullet Silver e Matt Gunpowder Black Metallic. Avete capito bene, da quest’anno spariscono colori che non siano nero, bianco o grigio visto che la clientela di Integra sceglieva solo quelli.
Sono stati utilizzati:
Casco Kabuto Ibuki
Pantaloni Arlen Ness Steel
Giubbotto Macna Mission
Scarpe Ixon Zebra
Guanti Alpinestars
Maggiori info:
Moto: Honda Integra 750 DCT
Meteo: sole 20°
Luogo: Malaga, Spagna
Terreno: Urbano, extraurbano
Foto e video: Zep Gori, Francesc Montero, Ula Serra, Felix Romero, Brendan & Dom Read-Jones
C'è un unico punto per me non accettabile su un mezzo di questo tipo:
la catena di trasmissione
Ma a quando una cinghia di trasmissione???