Da Mantova a Bolzano. Sì, viaggiare
Ma io da cosa evado? Beh, in questo giorno di metà agosto voglio evadere dai libri dell’università che quotidianamente mi guardano sorridendomi in modo beffardo ed ai quali non riesco a sorridere di ricambio, da questo paese dove una volta i ragazzini giocavano a calcio sul campo della parrocchia e si rincorrevano lungo le strade, le stesse strade che adesso restano deserte perché quei ragazzini sono cresciuti e quelli di nuova generazione sono impegnati a taggare le foto su Facebook, da mia madre che giustamente mi dedica tutte le attenzioni e l’amore che meriterebbe un figlio ma che finisce con l’invadere i miei spazi rischiando di soffocarmi, e da me stesso … anche se credo che da quest’ultimo non ce la farò mai.
Per andarmene voglio approfittare dello sfratto subito da parte di alcuni amici toscani dei miei genitori che portando la loro figlia sul lago di Garda si impadroniscono della mia camera per la notte con l’unico risultato di lasciarmi senza una fissa dimora dato che anche i miei sono costretti a dormire in casa di mia nonna nella quale io non provo assolutamente il desiderio di andare, e nella quale ho passato una delle più brutte notti insonni a causa di un materasso che per comodità poteva essere paragonato al pavimento.
Siamo quasi a Ferragosto, immagino che in qualsiasi direzione decida di andare troverei alberghi strapieni e traffico in grado di mettere a dura prova la pazienza e i nervi anche della persona più pacata di questo mondo, ma decido di partire dato che sono un gran testone e faccio qualche giro di telefonata trovando sistemazione presso dei cari amici residenti in provincia di Bolzano conosciuti per caso davanti ad un ascensore in un hotel di Formentera e con i quali i rapporti sono sempre stati più che ottimi. Mia madre rispose semplicemente scuotendo la testa e chiedendomi se non ci fosse proprio nessuno dei miei amici disposti a farmi compagnia per questo breve lasso di tempo in cui avremmo avuto ospiti, è convinta che debba coltivare i rapporti con le persone che hanno fatto parte della mia infanzia, persone che semplicemente hanno preso strade diverse dalla mia un po’ per il fatto che siamo diventati grandi e un po’ perché anche il destino ha giocato un ruolo in tutto questo … peccato non siano amicizie sincere perche credo che le persone di cui ti possa veramente fidare si rivelino con il tempo e con i fatti, le stesse che alla fine si possono contare sulle dita di una mano.
Con Maurizio sono in debito, ho promesso che lo sarei andato a trovare per un giro in moto, cosa che invece ho sempre rimandato per mancanza di tempo, o per qualsiasi altra scusa banale che mi ha impedito di partire … ma questa volta è diverso, la mia è una decisione presa all’ultimo momento, un “colpo di matto” ed ecco che caricato tutto il necessario per stare via qualche giorno parto per la meta da raggiungere; decido di non prendere l’autostrada, seguirò la statale fino a Bolzano perché voglio godermi questo viaggio e perche non ho fretta di arrivare ma provare nuove sensazioni con i miei pensieri che riaffiorano una volta girata la chiave di avviamento e abbassata la visiera: ricordo di aver letto da qualche parte la differenza tra un turista e un viaggiatore dove entrambi hanno una meta, ma il secondo a differenza del primo non ha fretta di raggiungerla proprio per cogliere ogni singola emozione del suo percorso. C’è un caldissimo sole di Agosto e io inizio a sudare non appena infilato il casco, in velocità tengo la visiera aperta in modo che un filo di vento mi accarezzi la pelle e mi sento di buonumore perché lungo la strada trovo altri motociclisti che ricambiano il mio saluto, cosa che fa pensare di far parte di una grande famiglia che viaggia su due ruote, mossi da una passione che porta ad affrontare situazioni sempre diverse, sia con il freddo che punge, sia con il caldo che scioglie ma sempre con quello spirito di avventura e di libertà che contraddistingue da tutti gli altri.
Arrivato dalle parti di Affi sul Lago di Garda trovo le prime code di turisti, cerco di uscire da quel trambusto di targhe tedesche ed auto caricate di materassini gonfiabili fino a quando la mia attenzione viene attirata divertita dalla vista di due motociclisti (marito e moglie probabilmente) che in sella alla loro Ducati Multistrada rossa fiammante se ne viaggiano tranquillamente con giacca tecnica, costume e infradito. Sono decisamente brutti da vedere ma la cosa mi diverte perché hanno saputo trovare un giusto compromesso tra l’essere motociclista e l’essere bagnante anche se il tutto va a discapito della loro sicurezza. Riesco a superare quelle code e mi ritrovo di nuovo a viaggiare a velocità costante lungo delle strade secondarie dove si fanno sempre più vicine le montagne del Trentino Alto Adige che guardo ogni volta affascinato dai loro boschi verdi , dai paesini che si posso scrutare tra una montagna e l’altra e dalla loro storia racchiusa tra quei versanti. Sempre con un occhio sulla strada cerco guardandole di ripetere qualche lezione di Geomorfologia per capire se sono in grado di applicare le nozioni del professore con quello che mi ritrovo davanti, e tra ipotesi di movimenti tettonici e bascula menti devo abbandonare queste intenzioni quando trovo due motociclisti tedeschi che viaggiano in coda ad un camion, rallento il passo e resto con loro senza superare ma non faccio nemmeno in tempo a finire di pensare questo che entrambi si buttano in sorpasso, cosa che faccio anche io restando dietro di loro. Se prima andavamo abbastanza tranquilli ecco che buttando un occhio al contachilometri mi ritrovo già a centocinquanta su una strada dove il limite è decisamente inferiore, e cerco di seguirli fino a quando non trovo l’indicazione per Trento alla quale devo svoltare.
Ricordo a me stesso di aver deciso di non correre, non quel giorno, e tornato ad andature turistiche mi godo il paesaggio trovando lungo la strada altri motociclisti (dai capelli bianchi questa volta) che sfrecciano sulle loro moto d’epoca caricate come se dovessero affrontare viaggi molto più impegnativi del mio. Non so perché la cosa mi rallegra, ho sempre visto moto di questo genere esposte nei musei oppure nel garage di qualche collezionista fanatico, vederli su strada mi convince sempre più che a questa passione non c’è limite, io che ero sicuro del fatto che solo con moto ultramoderne di questi tempi si potessero fare viaggi impegnativi ho davanti la prova evidente che ci sono ancora persone che concentrano il loro pensiero sull’assaporare il gusto del viaggio e dell’avventura riscoprendo il tutto a bordo di mezzi che hanno fatto la storia. Proseguo lungo la Valle dell’Adige fino a quando dietro una curva trovo una vecchia roccaforte napoleonica trasformata in agriturismo, penso alla storia di questo posto e di quell’edificio, a chissà quali eventi sono accaduti, quali persone hanno transitato su quello stesso passaggio e con la mente cerco di tornare indietro nel tempo immaginando queste situazioni, vorrei fermarmi a fare delle foto ma la strada è ancora lunga e non voglio perdere tempo perché altrimenti sarei fermo ogni cento metri per scattare delle fotografie. Dopo due ore di viaggio sono arrivato a Trento e mi fermo per una sosta lungo le sponde del fiume Adige che scorre accanto alla città, mi fanno male le spalle perché sono partito solamente con borsa da serbatoio e zaino stracolmo e pesante lasciando a casa l’orribile bauletto che rimpiango per la comodità che offre nel caricare il materiale, mi siedo lungo un marciapiede all’ombra di un albero dove a farmi compagnia c’è una prostituta che noto solamente dopo aver aggiornato il mio diario, ho giusto il tempo di scrivere e scattare qualche foto per poi ripartire.
Le montagne intorno a me si fanno sempre più alte, la luce del sole sempre più fioca e arrivo a destinazione per ora di cena, il tempo di fare manovra ed ecco che trovo Maurizio ad accogliermi avvisato del mio arrivo dall’inconfondibile rumore del quattro cilindri nipponico, e dove dietro di lui trovo Ornella che mi accoglie con un sorriso al quale posso solo ricambiare. Sistemo le mie cose per la notte, una doccia ed usciamo per una pizza dove mi viene illustrato l’itinerario che avremo seguito il giorno successivo, sono consapevole che la strada sarà molta e tortuosa per me che sono abituato ai rettilinei della pianura ma la cosa non mi spaventa e sono impaziente di provare le qualità della moto e le mie capacità di motociclista.
Dormo benissimo forse per il fatto di aver dormito male la notte precedente e vengo svegliato dal suono della sveglia caricata sul mio cellulare che ricorrente ogni mattina mi da il buongiorno attraverso una musichetta odiosa senza la quale non riuscirei proprio ad alzarmi, ho provato una volta a mettere una cantilena melodica in sostituzione, ma il solo risultato fu quello di spegnerla e rigirarmi dall’altra parte nel letto.
Con un occhio aperto e uno chiuso guardo l’orario che indica le sei e venti, fossi stato a casa mia avrei mandato tutti a quel paese per tornare nel mondo dei sogni ma dato che sono consapevole di quello che mi aspetta mi alzo attirato dal profumo di caffè e dal rumore di passi che proviene dalla cucina: è’ Ornella che sta preparando la colazione e con la quale scambio due parole guardando fuori dalla finestra al secondo piano di un palazzo che da sulla valle e sulla città di Bolzano, osservo quel panorama dove il sole sta facendo capolino e penso inevitabilmente a casa mia dove ogni mattina la colazione viene accompagnata dalla splendida visuale del muro bianco della casa del mio vicino Attilio che riflette la luce del sole costringendomi a sorseggiare il mio caffelatte con gli occhi socchiusi per il fatto di essermi appena svegliato. Si presenta in cucina anche Maurizio con la faccia lavata ma con due occhi che lasciano trasparire ancora uno stato di dormiveglia, si siede con noi ma è di poche parole forse per l’essere ancora addormentato oppure perché in vista del giro che ci aspetta si sta preparando mentalmente. Al suo arrivo divento di poche parole perche come lui sto cercando di entrare in quella condizione psicologica che tiene alta la concentrazione ogni volta che si sale in sella perché siamo entrambi consapevoli che la moto è bella quanto pericolosa, che il minimo errore può essere pagato a caro prezzo e non vogliamo rischiare di trasformare una gita in qualcosa di spiacevole da ricordare.
Tirate fuori le rispettive moto inizia la procedura di preparazione dove si controlla di aver messo tutto nello zaino, si infilano con cura stivali casco e guanti e si cerca di dominare quel brivido di adrenalina al suono del motore che ci dice di essere pronto a partire. Ognuno si prepara a modo suo, prima di salire faccio il segno della croce chiedendo a chi sta più in alto di me di proteggermi durante il mio viaggio, non pretendo che tutti credano in questo ma dal momento in cui ho perso degli amici che condividevano la stessa passione mi piace pensare che da lassù qualcuno di loro mi stia guardando, sorridente come lo ricordo e al quale chiedo di proteggermi ogni volta che si da gas a quella meravigliosa maledetta manopola. Abbiamo appuntamento con Christian e Mauro, due amici di Maurizio presso un distributore di benzina non molto lontano da dove siamo partiti, dopo aver rifornito a prezzi stratosferici puntiamo dritti sul passo della Mendola in colonna sempre con un occhio nello specchietto per vedere se procediamo tutti allo stesso passo in modo da non lasciare indietro nessuno.
Questa cosa mi piace, perché deve essere cosi lo spirito del motociclismo dove si arriva a destinazione tutti insieme senza correre per dimostrare di essere più bravo o di avere la moto più potente, non serve fare le corse specialmente quando si parte tra amici perché si ha la consapevolezza che la strada non sia una pista e questo lo si impara sulla propria pelle e sulle ossa rotte, leggendo la cronaca che parla di sangue sulle strade ormai con cadenza quotidiana. La strada non è una pista perché non ha pubblico e non ha avversari da battere, su di essa rimani con te stesso e con i tuoi pensieri chilometro dopo chilometro affrontando ogni curva al meglio e fermandoti ogni tanto a pensare a tutti i chilometri percorsi cercando di riassaporare l’emozione di una curva impostata in modo perfetto oppure allo sguardo di qualche bella ragazza che seduta accanto al suo fidanzato sulla spider decapottabile ti guarda con un pizzico di invidia, forse perché vorrebbe essere seduta dietro proprio di te. Dopo qualche chilometro la strada si fa in salita e arrivano le prime curve, il misto – veloce è quello che preferisco e dato che ho una moto abbastanza agile cerco di stare dietro a chi ho davanti fino a quando mi prende un colpo quando in piega sento scodare, non mi sembra di andare forte ma la gomma posteriore scivola e la moto si mette di traverso, penso che sia colpa della gomma ancora fredda e quindi rallento un po’ il passo … ottimo inizio mi viene da pensare.
Saliamo in alto, e vedo dei paesini in mezzo alla valle e sui versanti della montagna, nel mezzo c’è uno splendido lago dall’acqua azzurrastra alla quale vorrei fare delle fotografie ma non ci fermiamo perché come mi dirà Maurizio dobbiamo fare tanta strada quel giorno e non abbiamo molto tempo per fermarci. Sinceramente non mi rendo conto della distanza che abbiamo percorso, quando fai qualcosa che ti piace non si ha cognizione del tempo che passa, cosi come non si ha cognizione dei chilometri percorsi, passato la Mendola puntiamo verso il Passo del Tonale, questa volta sento la moto ben piantata per terra e seguire decisa la traiettoria che imposto, prendo sicurezza e tengo un ritmo allegro stando anche davanti a tutti guidando il gruppo. Ornella mi farà i complimenti perché dice che assomiglio a Valentino Rossi, non per la guida aggressiva ma perché in sella mi muovo spostando il peso (e il culetto) da una parte all’altra per bilanciare meglio la moto e la cosa mi fa ridere perché cerco di immaginarmi mentre guido, ognuno ha il suo stile e cerco di migliorare sempre. Salendo raggiungo una BMW serie “K” di grossa cilindrata targata spagnola … il primo pensiero è rivolto a quanta strada ha percorso questo turista per arrivare fino a qui e che evidentemente ha notato il nostro sopraggiungere perché da quel momento allunga il passo; cerco di restargli dietro, Maurizio è già riuscito a superarlo e non voglio perdere troppo terreno perché non conosco la strada, gli sto sotto fino a quando allunga la mano facendomi segno di passare … scalo una marcia e sfrutto tutta la ciclistica della moto per superarlo prima di una curva. Il Tonale è vicino, siamo quasi in cima alla montagna e l’aria inizia ad essere fresca tanto da costringermi a mettere la felpa una volta fermo, ne approfitto per aggiornare il mio diario e con un buon caffè davanti osservo tutto ciò che mi circonda notando spiacevolmente un ecomostro di almeno otto piani che in cima a questo panorama sta decisamente male visto che sorge ai piedi di una frana che da futuro geologo mi fa pensare ad un rischio elevato per la struttura: peccato, siamo nell’epoca del consumismo e non si bada alle spese e al rispetto per l’ambiente pur di costruire qualcosa che permetta di fare del business.
Terminato il mio caffè mi alzo per visitare il sacrario militare alle mie spalle e dove all’interno si trovano le tombe di soldati Austriaci e Italiani caduti durante la prima guerra mondiale, una lapide dedica questo monumento ai caduti di tutte le guerre e resto un attimo a pensare e immaginare lo scenario: dove adesso sorgono impianti di risalita per le strutture sciistiche una volta valorosi combattenti perdevano la vita in nome della propria patria anche solo per conquistare qualche metro di campo. Penso che la guerra sia la cosa più stupida di questo mondo dato che non servono armi e violenza per risolvere le questioni, e come si sta dimostrando anche nei nostri giorni, è una cosa che si fa per interessi e per business, non esistono più valori da difendere per i quali vale la pena combattere e soprattutto morire. Siamo di nuovo lungo la strada, passiamo i paesi di Aprica ed Edolo e mi innervosisco quando trovo davanti a me delle corriere di turisti che ingombrano il traffico, non è colpa loro ma inevitabilmente si prendono gli accidenti di chi resta dietro e non riesce a superare, una volta riuscitoci ecco che riprendo la marcia costante tra le curve e quelle strade che si perdono tra le montagne, viaggio sereno perché la strada è bella e c’è poco traffico ma proprio mentre assaporo questa sensazione di libertà ecco che sulla visiera vedo in lontananza un puntino avvicinarsi tanto rapidamente da non rendermi conto di cosa si tratti e all’improvviso ho la visuale colorata di giallo e rosso per quasi tutta la sua superficie: “Ma quello non era un insetto!!! Era un missile terra aria!!!” penso con me stesso e sono costretto a fermarmi per pulire il tutto immaginando le conseguenze se avessi avuto la visiera alzata.
Riusciamo a raggiungere Tirano, l’ultimo paese prima del confine Svizzero dove ci fermiamo per pranzo e dove, dopo aver di nuovo aggiornato il mio diario, gusto dei ravioli con ricotta e bresaola a dir poco favolosi. C’è poco da fare, moto e un buon piatto a tavola mettono sempre di buon umore … il tutto è reso ancora più piacevole se puoi contare sulla compagnia di una bella donna: è questo il mondo del mototurismo dove amici si ritrovano per vivere della loro passione e non rinunciano a qualche vizio come un buon piatto o una sigaretta davanti a un panorama a dir poco spettacolare, resto seduto davanti alla mia pietanza mentre ascolto Christian parlare della Svizzera, la immagino nonostante sia a pochi chilometri da me oltre le montagne che mi ritrovo davanti, ascolto attentamente quando inizia a fare un po’ di terrorismo psicologico dicendo che con gli svizzeri non c’è da scherzare dato hanno delle pattuglie della polizia stradale che si nascondono nei posti più impensabili cercando di beccare qualche motociclista che non rispetta il limite di velocità. Avendo avuto qualche piccolo inconveniente con la legge mi viene il batticuore ogni qualvolta incontro un posto di blocco, figuriamoci trovarlo in terra straniera!!! E se poi quelli mi fanno delle storie cosa gli racconto??? Prima di diventare paranoico prometto a me stesso che almeno per quel pezzo di strada avrei rispettato tutte le norme del codice e del buon senso, e una volta ripresa la moto tengo l’occhio fisso sulla velocità superando la frontiera con la tranquillità di chi sa che le cose andranno bene per forza. Bisogna anche essere ottimisti nella vita, con il passare del tempo e dei chilometri mi rilasso perdendomi in quel panorama e pensando che la Svizzera è proprio come la immaginavo, assomiglia ai paesaggi che si possono vedere sulle confezioni dei biscotti della Mulino Bianco oppure della cioccolata Lilla, case con i tetti a punta in legno immerse in un verde che si estende a perdita d’occhio. Sembra tutto perfetto, ogni terrazzo ha la sua bella esposizione floreale e devo fare attenzione perché in ogni paese trovo binari del tram che intersecano la strada, rischiando di finirci dentro con una ruota.
Però mi piace, si respira un’aria serena e tranquilla e vedere che le persone preferiscono spostarsi con i mezzi pubblici piuttosto che con i mezzi propri da a questo paese quell’idea di ordine per la quale sono famosi gli Svizzeri, mi viene da pensare alle nostre grandi città come Milano o Roma dove invece si rischia di restare bloccati nel traffico dalla mattina alla sera. Dopo qualche chilometro anche qui la strada si fa in salita, l’asfalto è perfetto e c’è un po’ di traffico che non impedisce di osare un po’ di più sulle curve regalando sprizzi di puro divertimento, l’aria diventa fresca e poco dopo capisco il motivo quando davanti a me si presenta un ghiacciaio dalle notevoli dimensioni, cose del genere le avevo trovate solamente sui libri dell’università e poterle vedere dal vivo regala una grande emozione specialmente se di queste cose ne si capisce un po’: osservandolo si vede una lingua di ghiaccio scendere fino a valle e noto attorno a me pietre dagli spigoli vivi che indicano chiaramente essere depositi morenici. Questo ipotizza che il ghiacciaio potesse arrivare esattamente nel punto in cui mi trovassi in quel momento, il che mi fa pensare al fatto che siamo abituati a vedere la natura come ferma, quando in realtà essa è in continua evoluzione secondo tempi geologici che confrontati con la durata della nostra vita la rende paragonabile ad un battito di ciglia. Siamo sul passo del Bernina, a 2330 metri sul livello del mare, senza togliere il casco mi avvicino al cartello indicante il nome del passo per farmi scattare una fotografia, appoggiata vicino a me c’è una bicicletta da corsa appartenente a un ciclista che in quel momento sta facendo una pausa, mi dice divertito che in quel modo sembra che io sia arrivato in cima vestito da motociclista ma in bicicletta, e mi chiede se voglio fare scambio di mezzi.
Sorridendo gli rispondo che la sua proposta è allettante cosi potrei fare un po’ di movimento indicando la pancia, ma rifiuto e proseguo insieme agli altri verso St. Moritz, meta che ci siamo imposti di raggiungere e dove una volta arrivati ci perdiamo nel lusso che offre. Parcheggiamo le moto in pieno centro, un negoziante ci guarda un po’ di traverso perché siamo esattamente davanti alla sua attività ma quando capisce che vogliamo solo scattare qualche foto porta pazienza e ci lascia fare: il centro di St. Moritz è una via piena di negozi di abbigliamento e hotel di lusso, sembriamo degli alieni passeggiando in tenuta da motociclisti tra quelle persone vestite firmato da capo ai piedi, mi tolgo la curiosità di guardare qualche prezzo in vetrina e salto come se avessi pestato una mina quando noto che per un paio di stivali in pelle (bellissimi senza dubbio) bisogna sborsare l’equivalente di 1300 euro!!!
E’ il corrispettivo di un mese del mio stipendio, rabbrividisco all’idea che qualcuno possa spendere quelle cifre per cosi poco anche se fortunatamente se lo può permettere.
Tornato in sella e avviato il motore noto la spia della riserva accesa, dico agli altri che devo fare rifornimento e al primo distributore ci fermiamo per rabboccare, non avendo franchi svizzeri nel mio portafoglio sono costretto a pagare con il bancomat all’automatico del self service dove spendo circa 40 franchi (ricordate questa cifra), ne approfittiamo per guardare un po’ il paesaggio intorno a noi quando sentiamo il suono insistente di un clacson provenire nella nostra direzione. Si trattava del conducente di un autobus della linea urbana che chiedeva arrogantemente di spostarci perché eravamo lungo la sua corsia nonostante avesse lo spazio necessario per passare dato che ci trovavamo appena un passo fuori dalla zona pedonale, sono proprio precisi questi svizzeri!!! Ritorniamo in Italia passando per Livigno e arriva la sorpresa quando sul cellulare ricevo un messaggio di notifica da parte della banca che mi informa del pagamento di 150 franchi svizzeri presso un distributore di St. Moritz … ma io ne avevo spesi 40!!! Cosa può essere successo? Che sia rimasto aperto il conto e qualcuno ha fatto rifornimento a mie spese? Non mi piace più come credevo questa Svizzera. Voglio vederci chiaro e chiamo immediatamente la banca dove mi risponde la solita voce registrata che dice di premere i vari tasti se voglio parlare con gli operatori, avrò chiamato quattro volte per riuscire a parlare con qualcuno e fortunatamente tanta attesa viene premiata perché trovo una signorina molto disponibile a darmi informazioni che mi rassicura dicendo che anche a lei è capitata la stessa cosa e che posso stare tranquillo perché una volta arrivata la richiesta di pagamento mi verrà addebitato solo l’importo reale di 40 franchi e non quello fittizio di 150. A sentire le sue parole torno di un colore roseo e il batticuore tende ad affievolirsi … funzionano proprio in modo strano queste banche.
Risalgo in moto, i miei compagni di viaggio che si sono fermati per darmi supporto morale sono appena ripartiti ma quando infilo la chiave nell’avviamento e guardo la lancetta del contagiri scorrere su tutto il quadrante la moto non si accende!!! Prego il signore chiedendomi cosa sia successo questa volta, inizio a suonare disperatamente il clacson sperando che qualcuno torni indietro, e quando mi raggiunge Christian gli dico che la moto non parte ottenendo come risposta l’invito a guardare il tasto rosso dell’accensione che inavvertitamente nella confusione e nella fretta di risolvere le questioni bancarie ho schiacciato portandolo in posizione “off”. Risolto anche questo mistero, ma che figuraccia!!! Ripeto a me stesso che devo essere più freddo nelle situazioni di emergenza e non farmi prendere dal panico perché si rischia di fare peggio, con il passare dei chilometri torno in me stesso e seguo gli altri che puntano verso Bormio per poi salire sul passo dello Stelvio, la strada da scorrevole diventa un tornante ogni duecento metri e Maurizio davanti a me indica con il dito il punto dove saremmo arrivati facendo segno di tutta la montagna ed esprimendo meraviglia quando incrociamo un cartello che avvisa della presenza di quattordici tornanti per arrivare alla vetta. La guida diventa meno fluida, si inizia a stare di più sui freni e sul cambio stando dietro agli altri ed eseguendo le stesse identiche manovre come se fosse un balletto, una danza dove tutti sono chiamati ad eseguire lo stesso lavoro. E’ bellissimo perché non c’è traffico e non bisogna preoccuparsi di incrociare il solito camper che rallenta tutti, una volta arrivato in cima noto che fa abbastanza freddo perché siamo a 2758 metri sul livello del mare e nonostante sia Agosto le cime intorno a noi sono ancora innevate con le nuvole che sfiorano le pareti di roccia, approfittando della nostra sosta mi allontano per scattare qualche foto e guardando la valle e la strada che sale penso da dove siamo venuti, al fatto che solamente una volta arrivati alla meta si ha la ragione di tutta la strada percorsa e della sua difficoltà perché guardando le cose dall’alto si ha una chiara visione di quanto possano essere stati messi sotto sforzo motore, testa e muscoli.
C’è un bel vento che porta in cima il suono di qualche moto che sta tentando la scalata del muro (cosi lo chiamo io) del passo dello Stelvio, con questo sottofondo musicale guardo che attorno a me le pareti di roccia sono ripide e hanno un aspetto non molto coerente, ai piedi vedo dei detriti che indicano qualche evento franoso forse dovuto allo scioglimento della neve che ripetendosi nel tempo ha portato a fenomeni di crioclastismo e termoclastismo. Maurizio si avvicina chiedendomi se sono soddisfatto fin’ora del giro, rispondo in modo affermativo anche se resto un po’ deluso dal fatto che l’uomo ha contribuito a modificare questo piccolo paradiso con negozi ed alberghi. Il solito problema del business: dove esistono luoghi ambiti ecco che spuntano i modi per fare soldi … mi viene detto di assaporare quei momenti perché mi trovo nel posto in cui ogni motociclista spera di arrivare e forse guardando verso il basso dall’alto di quelle vette capisco il perché. Ma scendere è più difficile che salire e non appena ripresa la strada ecco che trovo un cartello di pericolo indicante la presenza di quarantasette tornanti!!! Non si scende in modo scorrevole, la strada è protetta solo da un muretto dell’altezza di dieci centimetri circa dove oltre c’è lo strapiombo nel vuoto … alzando appena lo sguardo oltre il contagiri e il cupolino sembra di volare, restando concentrato sulla strada scendo con calma scalando anche in prima marcia e percorrendo le curve a velocità misere fino a quando trovo un motociclista che scende da quei tornanti spingendo con i piedi. Pensando che potesse aver avuto un guasto mi fermo per chiedere se ha bisogno di aiuto, ma risponde dicendo che scende in quel modo perché ha paura e si sente più sicuro spingendo … dopo questa penso di averle viste davvero tutte. E’ un percorso che non esalta per niente la guida ma per lo spettacolo che offre vale la pena di essere vissuto, dopo pochi chilometri alzo lo sguardo e vedo sopra di me quel muro di roccia che nominavo prima incombere sulle nostre teste, arrivati in fondo alla valle ci fermiamo ancora per una sosta e questa volta per bere qualcosa. Appena tolto il casco mi viene chiesto come mi è sembrato il passo dello Stelvio, rispondo soddisfatto che mi è piaciuto molto ma che mi era venuta “na bala” (capogiro in mantovano) a forza di fare dei tornanti e davanti a un bicchiere di San Bitter aggiorno il mio diario di viaggio riposando su quella sedia che dopo circa quattrocento chilometri risulta essere molto comoda. Ormai per quel giorno i passi e le curve sono finiti; non ho la certezza di dove mi trovo e il cielo sta diventando buio perché il sole sta tramontando, torniamo in sella quando la strada viene illuminata dai fari delle nostre moto … sono abbastanza stanco e percorro molta strada in piedi sulle pedane per estendere un po’ braccia e schiena in modo da non restare sempre in posizione raccolta come vuole l’impostazione di guida, osservo le montagne intorno a me lungo quella tangenziale che porta a casa e penso a tutta la strada percorsa, alle curve e ai panorami stupendi … sono stanco ma soddisfatto di questo giro perché mi ha regalato proprio quello di cui avevo bisogno: quella sensazione di libertà che solamente chi ama bagnarsi di vento può provare. Il giorno dopo è sabato, la sveglia suona alle sei del mattino ma questa volta non per saltare in sella alla moto bensì per andare con Ornella e Maurizio a fare mercato, visto che essendo ambulanti per loro è giorno di lavoro. Li accompagno anche io e restando dietro le quinte osservo il loro modo di lavorare e di preparare il banco, ascolto i discorsi con i colleghi e osservo il modo in cui i potenziali clienti si aggirano tra i banchi con quell’espressione infelice e annoiata di chi non ha niente da fare: qualcuno compra pensando a un regalo o ad un capo nuovo da mettere nell’armadio, altri invece rispondono con il solito “faccio un giro e passo più tardi” senza più rivederli. Ripenso a quando ho lavorato all’outlet di Mantova, in questo settore il lavoro del commerciante non è semplice perché bisogna convincere il potenziale cliente ad acquistare la merce che si fatica a vendere dato che un capo di qualità si vende praticamente da solo mentre tutto il resto bisogna cercare di darlo via comunque. Ho imparato che un uomo che si aggira tra i negozi è molto suscettibile alle offerte di un venditore, ma allo stesso tempo succube della moglie o fidanzata nella decisione delle cose da acquistare: “devo sentire cosa dice mia moglie” risponde … e non lo vedi più se non accompagnato da rispettiva consorte. Si dice in giro essere l’uomo il sesso forte, e mi faccio una bella risata quando sento questa affermazione perché non è assolutamente vero, ci sarà un motivo se si dice in giro che dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna!!!
La mia attenzione viene attirata da un bambino che sta seduto sul nostro furgone mentre sua madre è intenta nello scegliere alcuni vestiti, tra le mani tiene una rivista di moto e Maurizio al suo fianco gli racconta del giro fatto il giorno precedente e senza farmi vedere ascolto le sue domande e il suo stupore fino a quando non gli chiedo se gli interessa vedere qualche foto che ho scattato con il cellulare, risponde meravigliato ad ogni immagine e gli domando retoricamente se anche a lui piacciano le moto ricevendo come risposta un deciso “Si”… avrà più o meno otto anni e rimango colpito dalla luce che ha negli occhi quando inizio a raccontare anche io di questo fantastico mondo, gli spiego che essere motociclista non vuol dire correre ma assaporare le sensazioni che regala questo fantastico mondo e mentre parlo capisco che la sua fantasia sta lavorando immaginando magari di essere come noi un giorno. Al pomeriggio torniamo in sella e come destinazione abbiamo tre passi che meritano di essere visti, metto da parte la preoccupazione per qualche nuvola di troppo che copre il cielo e mi avvio insieme a Maurizio verso Merano scoprendo di percorrere una strada che conosco per esserci già stato in vacanza l’anno precedente. La città si fa sempre più lontana cosi come il traffico e le montagne intorno a noi si fanno sempre più verdi e sempre più alte … adoro questo paesaggio, si vedono paesini di case con il tetto a punta immersi nel verde dei boschi e il tutto trasmette quell’aria di pace e tranquillità che non fa mai male provare. Attraversata la valle inizia la salita e in quel momento insieme alla solita frescura sento stappare le orecchie pensando che sia un chiaro segno che stiamo salendo di quota, abbassando lo sguardo vedo la strada tortuosa che abbiamo percorso e questa volta non è bella come il solito perche l’asfalto è irregolare e bisogna stare attenti alle buche che all’improvviso possono presentarsi dopo una curva; attraversiamo delle gallerie dove all’interno fa veramente freddo e dove la strada viene illuminata solamente dai fari perche completamente prive di illuminazione, improvvisamente mi prende un colpo quando durante una salita si spegne la moto forse per l’aria più rarefatta che affatica il motore in ripresa quando deve salire di giri, non ne ho la più pallida idea ma pensare di restare a piedi lassù non mi va proprio quindi inizio a scalare le marce tenendo il motore a regimi abbastanza alti per evitare che accada di nuovo, il mio arrivo si sente in lontananza perché poco prima della cima trovo una pattuglia dei Carabinieri che mi fa segno di rallentare, mi chiedo cosa ci faccia lassù un posto di blocco dove praticamente non passa quasi mai nessuno!!! All’improvviso si presenta il cartello indicante Passo del Rombo, a 2509 metri sul livello del mare e poco più avanti svetta la bandiera Austriaca, siamo quasi al confine, c’è un po’ di movimento e dopo la consueta foto di rito ne approfitto per fare un giro a piedi dove scopro sull’orizzonte una strada che assomiglia moltissimo alle Highway americane: una lunga lingua di asfalto si perde tra i suoi rettilinei di Sali e scendi solamente che a differenza della California o del Texas oltre si trova l’Austria in questo caso. Ironicamente penso a come sia piccolo il mondo, scendendo dal versante italiano la temperatura torna a farsi decisamente più calda e una volta imboccata la salita che porta a passo Giovo (2094 mt. S.l.m.) inizia il divertimento quando dietro a me trovo dei motociclisti austriaci che sembrano andare di fretta … l’asfalto è tornato ad essere in condizioni quasi ottimali, le gomme sono calde e dopo chilometri e chilometri di andatura turistica decido di sbizzarrirmi anche io lanciando il Fazer a centocinquanta su un rettilineo e attaccandomi ai freni per staccare prima di una curva. Gli austriaci sono ancora dietro di me, intuisco dai loro fari che il primo guida una Benelli di grossa cilindrata che a confronto con la mia piccola seicento giapponese regge bene il confronto in velocità, ma sul dritto sono capaci tutti di andare forte e spingo di più quando arrivano le curve portando le gomme al limite della piega e sfiorando con gli specchietti le pareti di roccia che scorrono accanto … riesco a prendere un buon margine con il passare dei chilometri e una volta arrivato in cima faccio segno al mio inseguitore di essermi davvero divertito, lui contraccambia e le nostre strade si dividono quando scendendo per Vipiteno passo davanti alla famosa fabbrica dove producono gli Yogurt che mi provocano un leggero mal di testa dato che ai tempi di quando ho lavorato in un supermercato sono stati i miei migliori amici arrivando al punto di augurare loro il buongiorno ogni mattina all’apertura del banco.
Preso da questo pensiero non mi rendo conto che stiamo salendo in cima a Passo Pennes (2211 mt. S.l.m.) c’è un’atmosfera strana perché il sole sta per tramontare rendendo la luce fioca, la strada viene resa buia quando attraversiamo dei boschi che nascondono la vetta dove dobbiamo arrivare e forse per l’ora di cena che è imminente non troviamo nessuno lungo la nostra strada … arrivati in cima è l’apoteosi dello spettacolo e il trionfo della natura, il momento magico dove tutto intorno sembra essersi fermato perche non c’è nessuno dato che gli ultimi escursionisti li abbiamo visti scendere durante la nostra salita e attorno a noi regna il silenzio interrotto solamente dal soffio del vento. Davanti a me solo lo spettacolo del sole rosso che tramonta dietro una distesa di montagne verdi: sono quei momenti dove rimango solo insieme a tutti i miei pensieri rivolti alle persone a cui voglio bene e che sono lontane da me, a quando da bambino sognavo di diventare grande solo per il gusto di essere indipendente, alle persone che sono meno fortunate di me e con le quali la sorte ha giocato duro, all’amore della mia vita chiedendomi dove sia finito, ma soprattutto a quei sogni che anche questa volta tramonteranno insieme a quel sole che lentamente sta scomparendo davanti ai miei occhi. L’indomani è il giorno del ritorno verso casa e rientro con dispiacere perché è stato un soggiorno breve ma intenso, saluto Maurizio ed Ornella con i quali mi sono trovato benissimo e caricata la moto faccio rotta verso Trento ancora per statale guardando da lontano l’autostrada che scorre veloce ma che rischia di ridurre il mio viaggio ad una corsa contro il tempo alla quale non voglio partecipare, come all’andata ecco che incrocio altri motociclisti che a giudicare dalle apparenze stanno partendo per le loro vacanze in vista del Ferragosto e mi piace immaginare che saliranno su quei passi perdendosi tra le curve e panorami mozzafiato proprio come ho fatto io. La strada scorre dritta e noiosa come avevo dimenticato quando vengo preso da un pizzico di nostalgia della guida che bisogna adottare sui tornanti e sulle curve, attorno a me le montagne restano sempre maestose e imponenti come natura vuole mentre la strada scorre accanto a dei meleti e vigneti che profumano l’aria circostante facendo assaporare il gusto della buona terra. Mi spavento quando davanti a me trovo un autovelox perché inconsciamente mi sono perso tra quello che la natura offre ma controllata immediatamente la velocità di crociera noto che sono sotto il limite e torno a rilassarmi, arrivato ad un semaforo accosto a fianco ad un signore in sella al suo scooter di piccola cilindrata che guardandomi sorpreso mi chiede se “li dentro fa caldo”, immerso nella mia giacca tecnica nei miei guanti e nei miei stivali a confronto di lui che invece resta in infradito e camicia di lino … cerco di recuperare qualche goccia di sudore dal casco ma quando scatta il verde lo saluto e ingranata la prima lo vedo allontanarsi sempre più nel mio specchietto.
Arrivo a Trento per ora di pranzo dove decido di fermarmi e visitare la città, con molta sorpresa noto che è deserta forse per il caldo torrido di questi giorni oppure perché sono tutti partiti per le rispettive vacanze. Visito una torre rinascimentale dove all’interno è esposta una mostra con ingresso gratuito e pranzo all’ombra del Duomo in pieno centro all’interno di un ristorante appartenente ad una catena di hotel a quattro stelle: visto che è l’ultimo giorno, voglio trattarmi bene. Concludo il mio viaggio salendo sulle montagne intorno a Trento, fermandomi a Sardagna un paese dal quale si vede una bella fetta della Valle dell’Adige e dove decido di salire un’ultima volta perché è dall’alto delle montagne che ho provato le emozioni più belle sentendomi come un eroe romantico che contempla la natura immerso nei suoi pensieri. Penso con tristezza al fatto che il giorno successivo tutto sarebbe tornato alla solita routine e quotidianità, penso che il mio viaggio termina cosi come era iniziato in solitario e mentre le montagne attorno a me diventano colline, e le colline pianura, penso a tutte le persone che hanno voglia di evadere dal loro mondo attirate da quello che la vita può regalare se solo si trovasse il coraggio di partire lasciandosi tutto alle spalle. Ogni viaggio ha un senso ed ognuno di noi lo vive proprio come sognava di farlo: appunto, i sogni … quelli non svaniscono mai.
Massimo Salami
un rombo tra le nuvole