Addio a Neil Peart: musicista e motociclista
Era il 1998 e mentre la maggior parte di noi italiani era intenta a fare altro - nella fattispecie a sognare la prima R1 appena arrivata nei concessionari - Neil Peart era già un batterista famoso.
Da quasi 25 anni faceva parte dei Rush: il power trio canadese dal successo planetario aveva già scavato la storia a colpi di prog rock e l'opulento, sconfinato, drum kit di Neil, al quale si accedeva da un varco che sembrava una ferita, dava perfettamente l'idea della complessità delle trame ritmiche del batterista, della vastità della sua immaginazione e del mal di testa che - sospettiamo - perseguitava il fonico chiamato a fare il check prima dell'inizio dello spettacolo.
Beh, purtroppo nel 1998 nonostante l'R1 e la F4 accadevano un sacco di cose poco belle e noi non potevamo farci niente. La tragedia del Cermis, l'uragano Mitch e, sempre in Canada, lo schianto del volo Swissair New York-Ginevra, tanto per cominciare. Una massa di dolore rotolava sui fianchi della collina dissolvendosi all'impatto dell'indifferenza per eventi così estranei alla nostra quotidianità da rendere difficile l'identificazione e l'empatia con le vittime. Come risultato, tutto questo non cambiò la vita a nessuno di noi giovani adulti dell'epoca che restammo a guardare la R1 e a viverci addosso, ma quello fu anche l'anno in cui Peart disse alla band di considerarlo in pensione e si imbarcò in un lungo viaggio solitario in moto attraverso gli Stati Uniti.
In poco più di un anno Neil Peart aveva perso la figlia diciannovenne e la moglie. La prima a causa di un incidente automobilistico che, qualcuno ipotizza ma non vi sono certezze, fu in relazione con il tumore che strappò via la vita alla consorte Jackie; era il Canada, ed era 1998.
Quando il destino diventa così indecifrabile da sembrare la trama di un film, vai a ritroso a cercare le motivazioni, gli eventi e i dettagli dei personaggi per capire cosa ti sei perso, per appassionarti di più nella speranza di non restare deluso e di imparare qualcosa da poterti spendere in futuro.
Così, nel 2020, la morte di Neil mi colpisce come appassionato di musica che ha riconosciuto nelle partiture del virtuoso e sperimentale batterista un'eredità raccolta dalla musica pop e rock dagli anni '90 in poi, ed è molto più sfumata invece quella lasciata in libreria con i suoi diari di viaggio motociclistici.
Neil era molto distante dallo stereotipo "sex, drugs and r'n'r", era cosciente - per aver letto le biografie di colleghi come Keith Moon e Dennis Wilson - del pericolo di restare dentro il ventre molle del suo personaggio/rock star e viveva di ossessioni: prima la musica, poi la letteratura e i viaggi in moto. I suoi band mates lo chiamavano "il professore": dopo l'adolescenza spesa con la batteria, a Peart era nata un'acuta passione per la letteratura come reazione al tedio dei trasferimenti infiniti dei lunghi tour e il risultato furono la maggior parte dei testi dei brani dei Rush, via via sempre più personali, emotivi, profondi e introspettivi dopo un periodo iniziale dedicato alla fantascienza.
Alla fine degli anni '80 Neil era un musicista affermato ma insoddisfatto, anzi forse era semplicemente curioso e totalmente inadatto alla vita da tour fatta di ore di autobus, attese lunghissime e show serali, una routine che costringe spesso tanti musicisti a rinunciare al successo per dedicarsi ad attività meno alienanti: iniziò a viaggiare in bicicletta come reazione alla staticità dei days off dei lunghi tour, finendo per innamorarsi della libertà di scoprire luoghi sconosciuti e sentendo una passione per l'avventura che lo porterà poi, sempre in bici, prima in Cina e poi in Camerun e Chad. Da quest'ultimo viaggio nacque il suo primo libro The Masked Rider che raccolse le sue riflessioni e le sue esperienze lungo il mese trascorso in bicicletta lungo le strade africane.
A metà degli anni '90 Neil scopre la motocicletta e ne diventa passionalmente entusiasta; i suoi viaggi toccano il Messico, l'Europa, il Nord Africa, fino all'idea di portare con sé la moto anche durante le tournée in modo da poterla utilizzare per spostarsi tra un concerto e l'altro trovando la soluzione perfetta contro la noia: a quel punto il tour diventa la scusa per stare in moto tra una data e la successiva, alla ricerca di stradine isolate, per scoprire i grandi parchi nazionali o semplicemente per il piacere di viaggiare e arricchirsi. Chi di noi, se avesse potuto, non avrebbe fatto altrettanto?
Nel 1997 l'incidente della figlia, nel 1998 la scomparsa di Jackie. Neil saluta tutti, si congeda dai Rush, prende il suo BMW R1100GS e sparisce. Non è una parentesi, è il vuoto che lo risucchia e la sua reazione alla tragedia che sta vivendo è quella che molti avrebbero per eventi ridicoli al confronto di quelli accaduti a Peart. Anzi, noi nel nostro piccolo scendiamo in garage e inforchiamo la moto anche solo per liberarci da una settimana stressante e assaporare la libertà: magari il lavoro è andato storto, magari non vogliamo darla vinta alle nostre ansie e la moto resta uno dei rimedi migliori per stabilire meriti e colpe.
Neil fa lo stesso, e parte senza meta. Forse dopo avere scritto queste righe sono riuscito a stabilire un'empatia tra quanto accaduto a Peart e la mia coscienza, a fare meno fatica ad identificarmi con un motociclista preso a pugni dal destino e che dal tappeto si rialza e fugge, mentre l'arbitro sta ancora contando i secondi. Lascia la casa e i ricordi a fargli compagnia, prende il suo GS e in quattordici mesi percorre 80.000 chilometri toccando Alaska, Messico e Belize. Conosco almeno tre grandi viaggiatori che hanno iniziato a viaggiare per crearsi un bivio e prendere la strada giusta. Peart torna nel Quebec e inizia la prima stesura del racconto del suo viaggio, Ghost Rider, che verrà alla luce nel 2002.
Scrive testi, continua a stare in moto e il suo drum kit si arricchisce ancora di più.
Si risposa nel 2000 con Carrie, torna nei Rush nel 2001. Il bivio, la direzione giusta.
Secondo Rolling Stone è uno dei quattro migliori batteristi rock di sempre.
Nel 2009 nasce Olivia.
L'ultimo concerto dei Rush è nel 2015 per il tour che celebra i 40 anni della band.
Neil muore il 7 gennaio 2020 dopo avere combattuto per oltre tre anni con un tumore al cervello. La stampa viene avvertita ad esequie avvenute. Resta la sua musica, restano i libri dei suoi avventurosi viaggi in moto, da Ghost Rider a Far and Wide. Resta la sua ironia in un'intervista di qualche anno fa: "sono orgoglioso di poter dire che ho cinquantotto anni, sono un batterista rock che è arrivato a 58 anni" o qualcosa del genere che non sono sicuro di citare alla perfezione. Ma non credo importi.
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bymaxx, VIGEVANO (PV)Letto il viaggiatore fantasma (meglio il titolo originale) esattamente un anno fa, avendo subito la stessa perdita, leggendolo mi sembrava di interloquire con me stesso, meglio di una seduta dall'analista. Grazie Neil fa buon viaggio.
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carlo.caroni, Albavilla (CO)non so se una classifica di musicisti ha senso,e credo di no:ma e' un batterista molto importante per chiunque abbia suonato o ascoltato musica in questi,ormai,quarant'anni.piu' ancora,una persona che usava il proprio cervello,che cercava di crescere,che non abbandonava la curiosita':e un uomo colpito da un doppio,immane dolore che cerca di affrontarlo,invece di suicidarsi,partendo in moto,l'altra sua passione,per chissa' dove...respect,e che tu abbia trovato pace,Neil