Honda CBR 1000RR SP e Kawasaki ZX-10R SE. Questioni... in sospeso
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Le sospensioni semiattive sono con noi ormai da diversi anni. Arrivate sulla BMW HP4 del 2012, come (costosissimo) optional, si sono rapidamente diffuse sulle ammiraglie sportive per poi “contagiare” pandemicamente l’alto di gamma delle varie Case.
Da quelle prime proposte – efficaci come Proof of concept ma ampiamente affinabili all’atto pratico nell’uso più estremo – la tecnologia ha fatto passi da gigante, avvicinandole nel comportamento a quello delle migliori unità tradizionali, proponendo nel contempo una versatilità irraggiungibile dalle proposte meccaniche.
Sempre più efficaci e raffinate, versione dopo versione, le sospensioni semiattive di Sachs, WP e Öhlins hanno raggiunto un comportamento davvero eccellente grazie ad anni di sviluppo ed esperienza. Difficile quindi immaginarsi che un nuovo player che entrasse nel mercato all’ultimo momento potesse presentarsi già in grado di competere ad armi pari con lo stato dell’arte.
Quando però si muove un colosso come Showa, che nel 2016 ha mostrato il primo prototipo e poi, a EICMA 2017, ha presentato la versione definitiva denominata EERA (Electronically Equipped Ride Adjustment) le aspettative si alzano immediatamente.
Abbiamo quindi colto l’occasione di mettere le mani sul sistema Showa – in questa versione definita KECS, Kawasaki Electronic Control Suspension – ponendolo a confronto con lo Smart EC 2.0 di Öhlins scendendo in pista con la Honda CBR 1000RR SP e la nuova arrivata Kawasaki ZX-10R in versione SE. Due moto che conosciamo già molto bene – la Kawasaki nella versione RR – e che abbiamo scelto proprio per poterci concentrare sul comportamento delle sospensioni, senza venire influenzati da personalità molto diverse dei mezzi.
Il nostro test
Abbiamo scelto il circuito di Cremona perché lo conosciamo davvero bene, e perché propone una serie di situazioni – staccate lunghe, qualche percorrenza interessante e cambi di direzione tanto lenti quanto veloci – che ci hanno permesso di concentrarci sul comportamento delle moto, e nella fattispecie del comparto sospensioni e ciclistica, senza preoccuparci del resto.
La metodologia è stata la stessa per entrambe le moto: abbiamo iniziato con l’assetto più morbido fra quelli proposti di serie, per poi passare a quello più sostenuto per verificare le differenze di comportamento fra i due, e soprattutto per verificare l’azione della componente attiva delle sospensioni nelle varie situazioni.
Gomme identiche
Naturalmente, per eliminare la variabile gomme, abbiamo calzato entrambe le moto con gli stessi pneumatici, ovvero le Dunlop D 212 GP Racer, nelle misure 120/70 all’anteriore e 200/55 al posteriore – entrambi diversi dal primo equipaggiamento in termini di dimensioni, ma in grado di garantire il miglior comportamento e trazione nell’uso in pista.
Studiate espressamente per l’utilizzo in circuito (ma regolarmente omologate su strada, anche se Dunlop stessa preferisce suggerire le SportSmart TT per impiego misto) le D 212 GP Racer hanno migliorato sostanzialmente il comportamento delle precedenti D 211 in termini di versatilità, garantendo comunque le stesse doti di agilità, grip e resistenza all’usura. A differenza delle precedenti, infatti, queste GP Racer si adattano in maniera quasi plug & play alle ciclistiche delle moto di serie, senza le complicazioni in termini di assetto che si portavano dietro gomme prestazionali ma temperamentali come le precedenti Dunlop più specialistiche.
Le termocoperte sono raccomandate ma non necessarie, nel senso che soprattutto con temperature estive bastano due/tre giri a ritmo non troppo elevato per scaldare come si deve le GP Racer. Quello che invece è essenziale è regolarle alla giusta pressione, che differisce in maniera radicale da quelle utilizzate sulla maggior parte delle altre gomme: a caldo l’anteriore va tenuto attorno ai 2,5 bar, mentre il posteriore addirittura a 1,5, peculiarità dovuta alla tecnologia NTEC applicata alla carcassa che sfrutta le torsioni di quest’ultima per massimizzare la superficie di contatto con l’asfalto.
Le D 212 GP Racer sono disponibili in due mescole sia per l’avantreno che per il retrotreno: una morbida e una media davanti e una media e una dura dietro. Noi abbiamo utilizzato con grande soddisfazione la mescola media; le alternative sono consigliate rispettivamente per l’uso con temperature molto rigide o asfalto molto abrasivo (dura al retrotreno, per evitare di “strappare” la gomma) oppure per asfalti poco abrasivi (morbida all’avantreno).
Le sospensioni
La tecnologia, come dicevamo, è con noi da circa sei anni, da quando Sachs ha fatto debuttare la sua soluzione semiattiva sulla BMW HP4. Pur con differenze in termini di hardware e – soprattutto – software, le soluzioni sviluppate dalle varie Case (Sachs appunto, ma anche Marzocchi, WP e Öhlins) agiscono traducendo i dati raccolti ed elaborati dalla piattaforma inerziale in strategie di lavoro sull’idraulica, agendo in tempo reale per adattare il comportamento della sospensione al frangente – rettilineo, frenata, piega, accelerazione – in cui si trova il complesso moto.
La proposta di Öhlins, giunta alla sua seconda versione (Smart EC 2.0, appunto) e già in dotazione a Ducati Panigale, Yamaha YZF-R1M e – appunto – Honda CBR 1000RR Fireblade SP, su cui hanno debuttato, si basa su una forcella NIX30 da 43mm e un ammortizzatore TTX36, gestite da una SCU (Suspension Control Unit) che, sulla base appunto delle informazioni ricevute dalla piattaforma inerziale e dalla centralina gestione motore regola in tempo reale l’idraulica attraverso motorini passo-passo sulla base dell’assetto momentaneo della moto. Sono previste tre modalità pre-programmate (Fast, Enjoy e Safety) e tre configurabili dall’utente.
Il sistema Showa, qui nella declinazione Kawasaki, si basa invece su una forcella pressurizzata BFF e un monoammortizzatore BFRC, all’interno delle quali si trovano solenoidi a controllo diretto, teoricamente più rapidi nell’azione e quindi capaci di offrire un feeling più naturale nell’azione. Il tutto, naturalmente, controllato da una centralina specifica che attinge ai dati della piattaforma inerziale. Le modalità offerte sono tre: Road, Track e Manual, che permette di configurare a piacimento la taratura delle sospensioni.
Come vanno in pista
Le moto le conosciamo bene, dicevamo: intuitiva la Honda, agilissima e con tanta spinta ai medi regimi, capace di valorizzare la guida dei più esperti così come di concedersi a chi ha meno confidenza con certe prestazioni. Più specialistica la Kawasaki, che richiede una guida più determinata ma ripaga con un rigore dell’avantreno e una trazione da vera racer, e sacrifica qualcosa in termini di spinta ai medi regimi – dall’arrivo dell’Euro-4 – sull’altare di una cattiveria in alto davvero notevole. Anche se, bisogna dirlo, in questa versione 2018 la ZX-10R ci è sembrata più a punto nella risposta rispetto agli esemplari degli anni precedenti, facendoci sospettare che ad Akashi abbiano affinato qualcosa nel motore o nella gestione elettronica senza dichiararlo, come del resto è già successo.
La Fireblade SP è… una Honda. Tutto funziona esattamente come te lo aspetti, con i comandi tutti al posto giusto, e una posizione di guida azzeccata per tutte le taglie. L’inclinazione dei semimanubri non piace a tutti, ma è esattamente quella che porta il pilota a “tirare” verso il basso il manubrio in curva senza bisogno di spingere quando si vuole contrastare la tendenza ad allargare la traiettoria in uscita di curva. Peccato solo per il plexiglass del cupolino veramente ridotto ai minimi termini, ma il problema si risolve rapidamente. E in compenso, è una delle poche sportive giapponesi con le pedane decorosamente arretrate e quindi adatte alla guida di corpo.
Il motore è davvero bello: pur sacrificando qualcosa in termini di potenza massima rispetto alle concorrenti più aggressive, ha un’erogazione, una schiena ai medi regimi realmente meravigliosa, caratteristica che tra l’altro la rende la più gustosa e godibile su strada. E solo in pista, nei rettilinei più lunghi, si percepisce la carenza di cavalleria quando si va a spingere.
Ci piacciono meno l’elettronica e i freni. L’azione di traction control e anti-impennata non è configurabile separatamente, e quando si inizia a guidare su ritmi interessanti, in circuito, è necessario abbassare il livello di intervento del traction trovandosi però con una moto con una nettissima tendenza ad impennare. Un problema evidente sulle piste movimentate dal punto di vista altimetrico – ogni scollinamento diventa un momento molto… emozionante – che si sente meno in circuiti piatti come quello di Cremona, ma soprattutto un problema che Honda sembra essersi voluta creare da sola.
L’altro difetto della Fireblade, per l’uso in circuito, consiste in un ABS tarato evidentemente per un’azione stradale, che rende le staccate più violente un’operazione non sempre lineare a causa di un intervento decisamente prudenziale e – soprattutto – non sempre prevedibile. Ma sia chiaro: stiamo parlando di ritmi piuttosto elevati, non necessariamente alla portata di tutti.
La Kawasaki ZX-10R SE, con l’arrivo delle sospensioni semiattive Showa, rasenta la perfezione – non fosse per quel maledetto Euro-4 che ha fiaccato i medi regimi di uno dei motori più belli del panorama mondiale. Ma rimandiamo a quanto detto in apertura: l’impressione è che la “nostra” ZX-10R SE – che, lo ricordiamo, è sostanzialmente una ZX-10RR con l’aggiunta delle sospensioni semiattive EERA – fosse meno pigra fino ai 7.000 rispetto alle versioni precedenti.
Accogliente nella posizione di guida, ma con pedane un filo troppo avanzate per l’uso in circuito, la Kawasaki è intrinsecamente più stabile e precisa rispetto alla Honda. Bisogna lavorare un po’ di più con i muscoli; in compenso, dove la mettete sta, disegnando traiettorie con precisione chirurgica soprattutto in questa versione dotata di sospensioni semiattive, che comunicano quando devono pur filtrando praticamente tutto.
Il motore, quando gira ai regimi a lui più congeniali, è veramente un aereo. Cattivo, grintoso ma allo stesso tempo regolare e prevedibile nella risposta, spinge come un dannato regalando un gusto eccellente. Praticamente impercettibile l’intervento dell’elettronica K-TRC, che fa fare un sacco di strada senza troppi drammi. E ottimo anche il comportamento in staccata, dove allo stesso modo l’ABS lavora bene e non si rivela mai intrusivo.
Il comportamento delle sospensioni
Dare un giudizio separato al comparto sospensioni delle nostre due protagoniste non è cosa facile, Iniziamo col dire che entrambe sono decisamente performanti e che convincono appieno nell'uso in pista. Mantenendo le regolazioni specifiche per la guida on track, e lasciando quindi dialogare le centraline con gli elementi ammortizzanti, le due moto si dimostrano a loro agio nella guida sportiva, così come chi le guida.
Assetti controllati e bilanciati, trasferimenti di carico mai violenti e reazioni smorzate in maniera ottimale. Questo è quanto accomuna entrambe le moto: a fare la differenza e a rendere più difficile la lettura e quindi dare un giudizio agli elementi Showa e Öhlins ci si mettono le quote differenti delle due ciclistiche, numeri che le rendono estremamente differenti nel comportamento.
Svelta e votata all'agilità la Honda, più stabile e con un avantreno che infonde sicurezza la Kawasaki, che paga questa sua caratteristica con una maggiore fisicità nella guida, soprattutto nei cambi di direzione. Un punto a favore per le Showa lo si deve attribuire al fatto che fanno il loro esordio nel settore delle sospensioni semi attive, mentre le Öhlins sono alla seconda generazione, questo non toglie che entrambe si sono dimostrate all'altezza del loro ruolo, e che nel corso della prova non hanno necessitato di alcuna regolazione di "fino", peraltro consentita dal software di entrambe, per modificarne il funzionamento.
Nulla impedisce di intervenire "manualmente" sul setting delle sospensioni, e forse conoscendole più a fondo si potrebbe anche arrivare a cucirsi addosso come un abito sartoriale entrambe le moto, ma il confezionamento standard per ora ci ha soddisfatto pienamente. Al netto della tentazione di correggere quella maledetta tendenza ad allargare della Kawasaki lavorando sul posteriore…
Lo stato dell’arte
Come dicevamo nel paragrafo precedente, il confronto fra i comportamenti è inevitabilmente viziato dalla differenza di quote ciclistiche dei due modelli. Ma il dato forse più interessante che emerge da questo confronto è il livello d’eccellenza con cui si presenta Showa al debutto. La Casa giapponese è arrivata per ultima alla festa delle sospensioni semiattive, ma con un prodotto capace di far girare la testa a tutti quanti.
Per ora, il sistema è montato su una supersportiva (ma scommetteremmo che a breve possano diventare due…) ma non è affatto difficile immaginarne una diffusione più o meno rapida su crossover, GT e naked delle Case storicamente più legate a Showa. E senza nulla togliere a Öhlins, che non per nulla abbiamo scelto come riferimento d’eccellenza, il diffondersi di prodotti di questo livello qualitativo – e la concorrenza che ne deriva – non può che andare a beneficio di tutti quanti, stimolando un ulteriore sviluppo di prodotti ormai più che maturi. Il futuro appare roseo…
Maggiori informazioni:
Moto: Honda CBR 1000RR SP e Kawasaki ZX-10R SE
Meteo: Sole, 27°
Luogo: Cremona Circuit Angelo Bergamonti
Terreno: Pista
Foto e video: Photohouse
Sono stati utilizzati:
Edoardo Licciardello
Casco HJC RPHA11 Military White Sand / MC4
Tuta Ixon Vortex 2
Guanti Alpinestars GP Tech
Stivali Alpinestars SuperTech R
Francesco Paolillo
Casco Arai RX-7V Roberts Replica
Tuta: Alpinestars Motegi
Stivali: TCX Race Pro
Guanti: Spidi STR
Honda CBR 1000SP
************* Risponde la redazione. Non abbiamo avuto nessuna indicazione in proposito. Piuttosto la discriminante nella scelta fra semi attive e non, crediamo non stia nei paraoli ma nel principio di funzionamento dei due interventi di smorzamento idraulico, fra la soluzione manuale che richiede tarature specifiche a seconda della destinazione d'uso e la semi attiva che si basa su algoritmi che leggono i parametri di guida e intervengono.